Il vangelo di questa domenica è una sferzata per noi sacerdoti che abbiamo la responsabilità di guidare tante persone, ma è anche una monito rivolto a tutti quegli adulti che hanno responsabilità educative, incominciando dai genitori.
“Dicono e non fanno”. E’ l’eterna lotta interiori, è la dissociazione ontologica più misteriosa che ci sia: lo diceva già San Paolo: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio.” (Rm 7,18)
Domandiamoci: ma verso chi Gesù è severo? Verso questa debolezza insuperabile? Verso la nostra incoerenza? No evidentemente. Il Signore inveisce non sulla fragilità dell’uomo ma sull’ipocrisia, cioè su quell’atteggiamento di chi si sente a posto solo perché ha detto la verità. Gli ipocritci dicono: “Io dico cose giuste, quindi sono nel giusto. Dico, quindi sono. Io faccio la predica bella quindi non h più bisogno di nulla.”
Che cosa manca in questi modi di pensare? L’astensione all’ideale, a camminare sempre. L’adulto che si propone come colui che insieme al ragazzo cammina è molto più autorevole di chi passa il tempo a predicare e dare consigli senza mettersi in gioco.San Paolo, nella seconda lettera di oggi dice: “Avrei voluti darvi la vita”. Chi ama veramente non da solo consigli, ma tende a donare tutto se stesso.
Don Oreste Beste, un santo sacerdote diceva: Quello che sei grida più forte di quello che dici”