I Servi di Maria erano presenti nella capitale sabauda dal 1653, quando Cristina Maria di Borbone-Francia, figlia di re Enrico IV di Francia e moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia – nota come Madama Cristina (1606-1663) – invitò a Torino i religiosi, i quali costruirono il complesso di San Salvario, fuori della “Porta nuova”. Carlo Alberto nel 1841 concesse la chiesa e convento di San Salvario alle suore Figlie della carità di San Vincenzo de’ Paoli (le “Vincenziane” o “Cappellone”), assegnando ai Servi di Maria la centrale parrocchia di San Carlo.
Una seconda presenza si ebbe nel 1891, con la costruzione della chiesa e convento della beata Vergine Addolorata, nota come la chiesa del “Pilonetto”.
Già nel 1901 si trovano i primi documenti relativi all’interessamento della provincia Piemontese dell’Ordine dei Servi di Maria per l’acquisto di un terreno sul quale si intendeva edificare chiesa, convento e ambiti parrocchiali di una terza presenza servitana a Torino, nella zona di borgo Cenisia. Le cose si concretizzano durante la Prima guerra mondiale, durante un periodo di ingrandimento della città a causa dell’afflusso di gente dalle campagne.
Nella chiesa di San carlo i frati avevano un altare dedicato al Servo di Maria forlivese San Pellegrino Laziosi (1265-1345), fratello laico (allora si diceva “converso”) con una grande fama di taumaturgo, canonizzato nel 1726. La semplice e sincera devozione di un altro fratello “converso” a San Pellegrino, e le sue numerose “puntate” nella borgata di periferia per la questua, fu la circostanza per la quale si pensò di intitolare la nuova chiesa al Servo di Maria san Pellegrino Laziosi. Il cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy sostenne l’iniziativa.
Le spese di costruzione, in tempo di guerra, lievitarono e si iniziarono le attività parrocchiali e le liturgie, sebbene non fosse ancora terminata la costruzione della chiesa.
I frati non navigavano nell’oro; la costruzione (inizialmente era prevista una chiesa a cinque navate e un convento che aveva l’estensione doppia dell’attuale) venne ridimensionata. I frati, per un certo periodo, si impegnarono anche nella fabbricazione e vendita del liquore tipico dell’Ordine, la “Gemma d’Abeto”, per avere altre entrate per pagare i debiti. La parrocchia, comunque, pian piano si inseriva nel tessuto urbano del quartiere: ad esempio, nel 1926 il parroco donava £ 500 alla scuola “Gabrio Casati” a favore delle colonie.
Una lettera del giugno del 1931 nella quale un impresario costruttore si impegnava all’«ampliamento di una campata, più il presbiterio e coro e sacrestia […]; formazione di pilastri, archi e volte alla parte già costruita, arricciata e finita in bianco» ci fa capire che la costruzione era ancora in alto mare all’inizio degli anni Trenta.
Andava però costruendosi l’edificio fatto di pietre vive: erano venticinquemila le “anime” che formavano la parrocchia; popolazione che fu poi dimezzata con l’erezione della parrocchia “Maria regina delle Missioni” di via Cialdini, affidata ai missionari della Consolata. Iniziarono i Gruppi Scout, l’Azione cattolica, la “Conferenza di san Vincenzo”, il Terz’Ordine dei Servi di Maria e altri gruppi. Negli anni Settanta ebbe inizio una vivace presenza di Comunione e Liberazione, che ha trovato continuità anche dopo che i frati hanno lasciato la parrocchia.




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