XVI domenica del tempo ordinario (anno A)
Domenica scorsa siamo entrati nel grande discorso delle parabole. Anche oggi siamo aiutati dal racconto di Gesù a stare davanti al mistero del male, non come una realtà che a tutti costi dobbiamo cancellare, ma come mistero che rientra nelle permissioni di Dio e quindi ha un’utilità per la nostra salvezza.
La prima rivelazione che il Signore ci fa dovrebbe rasserenarci un po’. La nostra vita è divisa. Non dobbiamo spaventarci se dentro di noi sentiamo questa continua lotta tra le ispirazioni dello Spirito Santo e le suggestioni del male.
La seconda grande indicazione è che il male dentro di noi e nel mondo non potrà mai essere definitivamente sconfitto, se non alla fine della storia. La condizione della creazione è quella di essere fragile, debole, continuamente sottoposta al giogo del principe di questo mondo, il maligno.
Quali sono i segni del male? Il primo lo si evince dal racconto della parabola. I servi se la prendono con il padrone. C’è un’analogia nel dialogo tra Eva e il serpente. Quest’ultimo insinua nella mente della donna un’idea falsa e bigotta di Dio. Il primo capolavoro del male è l’opera di distruzione dell’immagine di Dio in ciascuno di noi.
Il secondo aspetto del male lo scopriamo prendendo spunto dai particolari agricoli descritti nella parabola. La zizzania e il grano sono simili all’inizio della loro crescita. Il male non si presenta mai come tale, ma usa il bene per abbagliarci, per farci cadere nelle sue trappole.
Le loro radici, poi, si intrecciano in modo tale che, se volessimo estirpare la zizzania, rischieremmo di togliere anche il grano buono. La tentazione di fare una pulizia etnica di tutti i mali del mondo è molto forte. La storia ce lo insegna: coloro hanno voluto creare un paradiso qui in terra cercando, anche con la forza, di estirpare le ingiustizie ne hanno create di più grandi.
Gesù ci mostra un’altra prospettiva: lasciare che il male e il bene crescano insieme. Abbiamo bisogno delle contraddizioni, di vedere i nostri limiti e quelli dei nostri fratelli, per non sentirci a posto e per non giudicarci migliori degli altri.
Infondo, il nostro male è stata l’occasione per Cristo di mostrarci la sua misericordia. La Chiesa nella veglia pasquale ci fa cantare: “O Felix culpa quae talem ac tantum meruit habere redemptorem”.