Domenica scorsa abbiamo incontrato san Pietro e Cristo che lo elogia perché scelto dal Padre per rivelare al mondo la vera dignità di Gesù.

Oggi lo stesso Pietro è protagonista in senso inverso. Se nel primo episodio si è lasciato condurre da Dio in questo ha vinto in lui la carne e il sangue.

E’ da notare anche ciò che succede nella scena descritta dall’evangelista. “Pietro lo trasse in disparte…” Pietro si mette in mezzo tra i discepoli e Cristo. La parola satana o diavolo significa proprio questo: colui che mettendosi in mezzo, divide.

Come ragiona il male e come vuole condurci a ragionare come lui? Il mondo ha dei problemi. Bisogna risolverli. Con il denaro, con il potere, con la forza.

E’ proprio la logica delle tentazioni che Gesù ha subito nel deserto. In particolare quella in cui il demonio lo porta sul ciglio del Tempio e gli dice di buttarsi giù, in modo che gli angeli lo vengano a prendere. Trasformare Dio in un giocoliere da circo, invece che vivere con lui da figli che amano un Padre. E’ a questa mentalità che Cristo si oppone. Lui che può usare tutta la potenza di Dio, ne usa una parte, quella meno visibile, quella più discreta: l’amore.

Perché? Perché il potere crea ossequio e rispetto, l’amore crea dipendenza. L’amore ci espropria da noi stessi. Quando amiamo una persona, lei è il centro della nostra vita. Il rispetto e l’ossequiosità sono formali, non toccano minimamente l’affetto. Solo con l’amore Cristo può diventare il centro della nostra vita. Lo diventerà con Pietro: “Mi ami tu?” Perché il dramma della vita non è morire, ma non avere nessuno per cui morire, per cui dare la vita. La sofferenza è una conseguenza dell’amore. Non è la scelta primaria. Cristo non va in croce perché gli piace la croce, ma per amore del Padre e di noi. Prima del sacrificio c’è qualcuno per cui sacrificarsi.

Oggi per paura di soffrire non amiamo più. Abbiamo paura di amare, scegliamo amori comodi, che chiedono il giusto, che non impegnano. Perché? Forse perché abbiamo paura di soffrire. Ma senza l’amore possiamo guadagnare tutti i comfort del mondo, ma perdiamo noi stessi.

Pietro e gli altri apostoli impareranno a seguire Gesù e le sue condizioni:

  • Rinnegare se stessi: il nostro “io” è l’idolo di cui parlavamo domenica scorsa. Spostare lo sguardo da noi al “tu”, come i bambini. Essi diventano se stessi guardando e seguendo mamma e papà.
  • “Prendere la croce: il verso greco “airo” significa accogliere, innalzare, elevare in alto. Non censurare l’insuccesso, il peccato, il limite. Il successo, se così possiamo dire, di Pietro è legato a tutti i suoi fallimenti. I vangeli non hanno nascosti i difetti di Pietro, non hanno omesso la crocifissione. Anzi gli studiosi dicono che i primi nuclei dei vangeli scritti sono proprio i racconti della passione. Tutto il resto si è costruito attorno ad essi.

Perché ostentare la croce? Perché lì c’è la gloria di Dio, dove tutti vorrebbero scappare, il discepolo di Cristo rimane e con la grazia trasforma il dolore in un inno alla vita. Come quella giovane mamma malata terminale che qualche giorno prima di morire confida ad una sua amica: “Quando Gesù verrà a prendermi voglio che mi trovi più viva che mai.”

  • “Seguire”. Cristo si guarda e si segue. Nel tempo lo si può anche un po’ comprendere. Perché questa è la natura dell’amore