Di fronte a questa parabola normalmente siamo spinti a sentirci addosso un compito troppo grande per le nostre forze.dobbiamo sdoganare questo racconto di Gesù dall’orizzonte moralistico in cui tanta predicazione a relegato il messaggio cristiano. Innanzitutto i talenti non sono le nostre qualità. Ad un’attenta lettura della parabola si capisce che i doni sono del padrone, non sono nostri. Quali possono essere questi doni? Innanzitutto pensiamo ai sacramenti, alla parola di Dio, alla Chiesa, al magistero e infine al dono più bello dello spirito Santo.

Che cosa abbiamo fatto di questi doni? E perché il Signore ce li ha dati? La prima ragione è il dono nasce da un cuore commosso per l’esistenza dell’altro. Il cuore di Dio è così. Il cuore di Dio davanti all’uomo sta come uno che dopo aver finito un’opera si ferma un attimo e si compiace della bellezza di quello che ha creato.
La ragione dunque della consegna dei talenti é poter prendere parte alla gioia del padrone.

Allora qual è il problema del terzo servo? Egli ha un’idea brutta del Padrone, non si fida, lo vede come un giudice, come uno che mette fardelli troppo grandi sulle spalle. “Mi vuoi sfruttare, mi vuoi fregare, mi stai tendendo una trappola”. Per lui il padrone è un uomo esigente.”

Domandiamoc: ma Dio ha bisogno prima di tutto di esigere qualcosa da noi? Il primo motto del suo animo nei nostri confronti è la condivisione di quello che lui è. La creazione e il dono di suo Figlio ci sono stati fatti prima di tutto perché noi partecipassimo alla sua gioia. Uno che ti consegna i suoi talenti (33 Kg d’oro) così, senza meriti, ma per pura generosità può essere visto come uno che ti vuole fregare?